
Giovanna Calabrese
La psichedelica tra neuroscienze e sciamanesimo
Ben prima che Aldous Huxley parlasse delle “porte della percezione” numerose sostanze enteogene erano utilizzate in tutto il mondo per accedere a stati di coscienza in cui sperimentare una realtà diversa.
Nell’antichità tali stati erano prerogativa di quei soggetti che all’interno della comunità rivestivano un ruolo di particolare importanza come guida spirituale, di connessione tra il mondo visibile e quello trascendente ed il loro utilizzo era subordinato ad un rito di iniziazione. Spesso questi soggetti acquisivano capacità di cura non solo dei corpi ma anche delle anime, laddove non c’era in realtà una separazione tra i due.
Negli anni 60-70 del 1900 sono stati sintetizzati in laboratorio alcuni dei principi attivi responsabili dell’alterazione dello stato di coscienza ed è stato coniato il termine psichedelico: manifestatore della psiche.
Dagli anni 90 numerosi studi recettoriali e di brain imaging hanno cercato di definire i meccanismi di azione di queste sostanze a livello cerebrale, tanto che la psichiatria sta pensando di reintrodurle come terapia farmacologica.
In questa presentazione si illustreranno gli effetti neurofisiologici di queste sostanze e gli effetti soggettivi, cercando di mettere i due piani in parallelo, al fine di arrivare ad una comprensione integrata della relazione tra piano fisico e piano psichico.